le "mondine" (caldarroste)
C'era una volta (e c'è ancora)
un paesello lassù tra i monti di Pescaglia,
nascosto tra le foglie dei castagni. Viuzze acciotolate e case antiche
che videro vita "sgobbonata" di gente semplice.
Era una notte scura, pioveva e il vento portava odor di selva.
Le pietre lucide e scivolose accolsero l'incerto passo di quattro avventori:
Elio, Claudia, Gigi e Gavorchio.
Inerpicandosi lungo la "ruga" sentirono
un chiacchiericcio provenire da dietro una porta, dalla quale, oltre
al vociare, filtrava un fioca luce, mentre dal camino, assieme al fumo,
si spandeva nell'aria
anche un buon odere di "mondine".
Bussarono a quella porta e...... si ritrovarono in mezzo ad una
allegra combriccola di paesani riuniti per una serata
molto... molto... particolare.
Per primo videro un caminetto acceso e udirono l'allegro scoppiettar delle castagne
che danzavano dentro alle padelle bucate.....
furono fatti accomodare e arrivarono le "mondine" calde, fumanti, invitanti....
"I quattro non si fecero pregare....
e per essere così riconoscenti
e in qualche modo anche ripagare
si esibirino in poesia, prosa e canti... "
la gente ci rideva divertita
e fra verna'olo, rime e dù' stornelli,
le mondine annerivino le dita
e a' cuori ni s'aprivino i cancelli...
tra castagne, cenci, e cialdoni
in una serata così da lumicino
non poteva mancar per i ghiottoni
un bel bicchierotto di bon vino...
in quella stanza, tra castagne ed allegria
dove si osannava "l'albero del pane"
che per secoli la fame scacciò via
ad ascoltare c'era anche un bel cane...
"e come si sa, li poeti e li cantori,
se nì dai corda non li fermi più
ni ci vorsen di stracinalli fori
insennò ancora sarebbino lassù..
"
Un grazie ai paesani di Colognora di Pescaglia
per la loro calda accoglienza...
e chissà... a noi c'è garbo 'un so vanto...
si potrebbe ancor rifà.....?
Le caldarroste (di Gavorchio)
Le caldarroste
L'autunno.. è la mia stagione preferita, dai colori inimitabili e dal calore della nostalgia... La stagione piovosa, le nebbie mattinali, le erbe imperlate di rugiada notturna, ben si addicono al profumo delle caldarroste. La vecchia, all'angolo della strada, ne riempie coni di carta gialla, intasca gli spiccioli in cambio di quel cartoccio ricolmo di buon, caldo, sapore antico. Quattro spiccioli per sporcarmi le dita sbucciando le castagne, soffiandoci sopra per raffreddarle, scottarmi la lingua mordendole e ritornar bambino, quando mamma, mi donava quei dolci frutti arrostiti. Papà, rosso in viso per il morso del calore del caminetto; lo scoppio improvviso di quelle non "castrate"; il fumo profumato di bucce riarse che saliva nel camino; e quel soffietto che ravviva la brace sotto la padella bucata. Ancora una manciata di caldarroste da sbucciare, cercando di non scottarsi le dita. Passeggiando tra la gente, il cartoccio vuoto tra le mani, un buon sapore in bocca e gli occhi perduti alla vana ricerca di un quadro ormai sbiadito da questa impietosa bruma autunnale.
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Cara Castagna (di Gavorchio)
Cara piccina e dorce castagna, de'ricco pan', amica e compagna,
hai sfàmo genti vissute in miseria, sittanell'ombra senza fà' storia.
Secca e stiacciata ridotta in farina, o abbrustolita e carda mondina,
di te han' fatto bruna polenta, o viola vinata, rumata lenta,
ballocciori e tullore bollenti e fumanti, erin' unica forza pe' tirà'avanti,
ricotta e necci e un fiasco di vino spronavin' l' opra all'inverno contadino.
Pàssa di moda un' sei più su ttavoli la gente ti snobba a par de' ccavoli,
ne' tu scrigni spinosi ti lascin' ammarcì' restando ricordo d'un tesoro d'un dì. |
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UN TEMPO FUMAVINO I METATI Un tempo il fumo usciva dal metato e in quell’opera paziente e preziosa dell’uomo in armonia con il Creato si approntava la castagna generosa per esser dal mulino trasformata in cibo per tutta la vallata.
Erano tempi di grande povertà di lavoro pesante e faticoso, però affrontato con serenità ed i pochi momenti di riposo proprio perché eran più desiderati maggiormente venivano apprezzati.
Adesso noi viviam nell’abbondanza della miseria non c’è più la morsa ma beni non ne abbiamo mai abbastanza e per questo andiam sempre di corsa risucchiati nella spirale impazzita che è diventata la moderna vita.
Oggi il fumo che sale verso il cielo vien dalla fabbrica, dalla ciminiera che sull’azzurro stende un grigio velo; mentre all’uomo che pensa alla carriera arrivista, nevrotico e scaltro molto spesso….gli fuma qualcos’altro!
( 3° premio Boccabùgia 2002) |
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Un tempo fumavino i metati (di Gavorchio)
Rotta era la schiena sotto al fardello Di castagne colte con tanto sudore Poi sul canniccio si votava il corbello Sollevando la schiena da un po’ di dolore.
I frutti marroni a strati distesi Dentro al metato sì accomodati, Al piano di sotto venivano accesi Ciocchi di legna, a vista guardati.
Com’era bello senti’ donne lontane Quando chine raspavino con i rastrello Le sacca riempivino sulle sottane Per comincià, poi, da un altro pianello.
E po’ la sera, quando ariva il torpore Sopra al paiolo co’ le mano tremantiPer ammorbidille con quel vapore Strappando le spine coll’unghie e co’ denti.
Vorei non svegliammi da questo sogno, le castagne oramai nessuno più coglie, dei vecchi metati non c’è più bisogno e il pane di neccio more sotto le foglie.
(2° premio al concorso di poesia estemporanea “Il Boccabùgia” di Vergemoli anno 2002) |
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